Che - L’argentino di Steven Sodenbergh, o il compiersi di un progetto rivoluzionario in un Paese americo-latino.

Teza di Haile Gerima, o le sventure di cui può essere vittima un Paese africano.

Nei giorni scorsi ho visto, uno dopo l’altro, due ottimi film. E per quanto essi siano per collocazione e coordinate storico-geografiche fortemente lontani, io credo che gli elementi di valore e qualità, di sensibilità intellettuale e politico-morale, li rendano invece molto vicini e simili. Il primo è Che – L’argentino, al proposito del quale inizierei dicendo che, all’uscita di sala, mi ha regalato la sensazione prolungata di avere al posto della mia normale faccia quella del Che Guevara interpretato in maniera splendidamente efficace e persuasiva da Benicio Del Toro. Questo mi succede piuttosto di rado, soltanto quando la forza del film, del personaggio che mette in scena, dell’attore che lo interpreta è tale da invadermi, riempirmi, impossessarsi letteralmente di me. Lode quindi all’attore Benicio Del Toro e lode a Steven Sodenbergh, che in sapiente umiltà si è saputo mettere con la sua macchina da presa dentro la storia di Cuba, a fianco del gruppo imbarcato sul Granma capitanato da Fidel Castro, in posizione del tutto democraticamente partecipe, come apprendista voglioso di capire e farsi guidare senza troppi rispettosi convenevoli, enfasi o solennità. E così consente anche a noi spettatori di emozionarci e infiammarci nell’impressione di essere lì, in quel momento e in quel contesto, in quella storia, a fianco della lotta di quel manipolo di splendidi e pazzi eroi, di quel popolo che ha saputo liberarsi del tiranno e riscattarsi da secoli di oppressione e schiavitù. Grande storia, oramai da tutti conosciuta ma di cui non si è mai sazi, grande l’attore, eccellente il regista, splendida l’ambientazione nella bellezza tropicale e sontuosa di una Cuba interna contadina e montuosa.

L’altro film è Teza, del regista etiope Haile Gerima, di cui finora non avevo visto nulla e del quale devo confessare non avevo, colpevolmente, registrato notizie e informazioni significative. Qui, via via che seguivo lo svolgersi sullo schermo della storia – al cinema Farnese di Campo dei Fiori, alle sei del pomeriggio, in cinque spettatori cinque – mi sono trovato felicemente soggetto a due effetti. Il primo, il riempimento del buco nero di conoscenza che mi penalizzava rispetto alla storia recente dell’Etiopia. Sì, qualche nome storicamente celebre (Hailé Selassié e Mariam Menghistu), ma niente di più. In questo senso, la visione del film mi ha regalato una esemplare e necessaria lezione di storia, e questo è un suo primo pregio. Il regista racconta gli ultimi cinquant’anni di storia di quel Paese (o cinquemila?) attraverso l’uso sapiente di un cinema essenziale e puro, una magica sequenza onirica di immagini, paesaggi, racconti di storie già iscritte in visi e mimiche potentemente espressive, di esperienze che lasciano così coinvolti e senza fiato perché inducono al contatto con fatti, emozioni e luoghi che costituiscono bagaglio simbolico e archetipico universale: la nascita e la morte, l’amore e l’odio, la rivalità omicida e la solidale amicizia, la volontà di riscatto ed emancipazione e i mille diavolacci che inesorabilmente si frappongono, la voglia di pace, felicità, benessere e il rovinoso scacco cui (quasi) sempre si è costretti. Il tutto non così sbrigativamente elencato come faccio io, ma dentro il farsi, il crescere e il comporsi di un’opera che  mai come nel caso di questo film viene da definire opera d’arte. Ambientato in grande parte dentro il villaggio ancora arcaico e primitivo sulle rive del lago Tana dove è nato e cresciuto il protagonista, Teza è la ricostruzione del percorso devastato e smarrito di una esperienza individuale e collettiva, di una persona singola, di un villaggio, di un intero Paese. E' la denuncia di una generazione – come scrive Roberto Silvestri su il manifesto -  che per ribellarsi all’oscurantismo feudale delle tradizioni incarnate dal Negus si affiderà al socialismo militarizzato di stampo marxista-leninista, “compiendo così l’errore tragico di anteporre la rigidezza e la drasticità di schemi politici alla sensibilità e al buon senso dell’individuo, alle ragioni della scienza, all’etica e ai diritti delle donne”. Al suo centro, la coscienza critica di un personaggio, che adombra anche il regista, della sua esperienza di militante e combattente, di intellettuale non riconciliato con ortodossie e chiese. Teza è un film bello e necessario perché tocca con intelligenza e sensibilità terapeutica ferite e traumi, scioglie nodi e libera emozioni rimosse, regala una benefica catarsi di testa e pancia, di lacrime e singhiozzi. Andare a vedere per crederci.

Gian Carlo Marchesini