Fortapàsc e Il muro di gomma.

L’ottimo lavoro cinematografico di Marco Risi.

Sullo slancio della visione di Fortapàsc, mi sono visto di Marco Risi, in dvd,  anche Il muro di gomma che alla sua uscita nel 1991 mi ero perso. Sulla vicenda del DC-9 dell’Itavia buttato giù nel 1980 da un missile sul mare di Ustica, ho un collegamento di natura affettiva personale: l’amicizia con Alberto Bonfietti, impegnati insieme in Lotta Continua e insieme collaboratori dell’omonimo quotidiano. Daria Bonfietti, la sorella, è stata negli anni successivi alla tragedia una delle combattenti più impegnate nella richiesta, tenace in tutte le sedi, della verità sulle  cause e i responsabili dell’abbattimento dell’aereo. 

Il muro di gomma – così come Fortapàsc, così come d'altronde decine di film, da Salvatore Giuliano a Le mani sulla città, da quello sul generale Dalla Chiesa all’altro su Giorgio Ambrosoli, da I cento passi su Peppino Impastato a Il Divo che li raccoglie e riassume un po’ tutti – è l’ennesimo tassello di indagine, denuncia e smascheramento di quanto sia stata e continui a essere dimezzata e opaca la democrazia italiana nel funzionamento dei suoi meccanismi. Da questi film, da saggi e romanzi, dalle innumerevoli inchieste giornalistiche e processi politici e giudiziari, emerge una realtà, sulla condizione politico-istituzionale e materiale di questo Paese, per la quale è possibile parlare di doppio Stato, di separatezza e patologica dissociazione, di pratica dell’occultamento e della menzogna non atipica ed eccezionale, ma sistematica e cronica. Si direbbe anzi che il nostro sia un Paese a esercizio democratico (tempestività, puntualità e trasparenza e completezza dell’informazione sui fondamentali fatti di realtà – vedi anche la denuncia fatta al proposito da Enrico Deaglio nel suo Patria) parziale e limitato, funzionale non al controllo, alla partecipazione larga, alla conoscenza collettiva diffusa, ma a interessi e fini estranei ed esterni, indicibili e inconfessabili. Il nostro, in special modo dal secondo dopoguerra ad oggi, si direbbe essere – da Portella della Ginestra a Ustica, dal delitto Moro alle stragi di Stato, da Gladio a Stay Behind alla P2 – un Paese eterodiretto e gestito attraverso i fili di uno o più pupari (USA e URSS, NATO, Israele e Paesi arabi del Medio Oriente)  nascosti dietro le quinte a cucinare le loro mefitiche pietanze.

Ne Il muro di gomma, a far la figura dei felloni mentitori, spesso così maldestri da apparire grotteschi, sono i generali delle Forze Armate, quelli della Marina e Aviazione in particolare. E, insieme a loro, i politici nei ruoli di Ministri dei vari dicasteri nell’affaire dell’abbattimento del DC-9 di Ustica direttamente coinvolti. A smascherare, a stanare con pazienza e tenacia di anni  e anni di durissimo lavoro, un giornalista investigatore tosto, alcuni irriducibili tra i famigliari delle 81 vittime, un avvocato con la tenacia professionale del mastino, alcuni esperti  fedeli al loro compito di fornire e diffondere elementi a favore della verità, un magistrato integro. Poche persone, quindi, rispetto agli apparati pletorici dei corpi armati, all’esercito di politici, agli amministratori burocrati, agli uffici giudiziari labirintici e omissivi. Le parole dell’ultimo articolo dettato da Corso Salani/Andrea Purgatori da  una cabina telefonica sotto la pioggia battente, la voce rotta e le lacrime del pianto, che andranno a comporre il pezzo dello smascheramento finale delle menzogne di Stato, e che apparirà il giorno dopo a titoli cubitali  in prima pagina sul Corriere della Sera, sono il momento  clou del film, quello della catarsi liberatoria, ma anche dello scoramento e dell’amarezza totale.  Ci sono voluti nove anni di lavoro accanito di alcuni professionisti capaci e onesti per impedire il black out sulla verità di un atto di guerra in tempo di pace che ha provocato la morte di 81 persone ignare e innocenti. Black out per la riuscita del quale hanno collaborato parti e pezzi degli stati maggiori dell’esercito, dei servizi segreti, della politica e delle istituzioni dello Stato. 

La concezione e la filosofia che determinano tali comportamenti lesivi dei principi elementari di verità, libertà, giustizia e democrazia hanno a che fare con la convinzione che gli interessi, i bisogni e i diritti, la vita stessa dei cittadini siano “cosa loro”, appropriabile, sequestrabile, gestibile e manipolabile a piacimento in segrete stanze da gerarchie, oligarchie, massonerie, élites e potentati insofferenti a qualsiasi trasparenza e controllo. Per loro, i cittadini, cioè noi tutti, siamo come dei bambini da tenere buoni con giochi e trastulli (una Tv berlusconiana farcita di pubblicità e giochi di intrattenimento, come racconta molto bene Erik Gandini in Videocracy). Gli affari importanti, la produzione, la gestione e la spartizione della ricchezza, le questioni di vita e di morte, sono affari loro. E togliamoci dalla testa l’idea di poter disturbare il manovratore!

Fortapàsc e Il Muro di gomma sono cinema coraggioso sulla necessità, sulla irrinunciabilità di una democrazia mai stabile e sicura, mai definitivamente acquisita. Sono un appello e un racconto  perché ognuno si senta più libero,  insieme a tutti, contro un uso arrogante e prepotente della forza, contro ogni tentativo di avocazione e spoliazione della libertà, della conoscenza piena dei fatti, di una autonomia informata e critica. In più, i due film fanno capire l’importanza del lavoro di un buon giornalista, colui che fa le domande giuste al momento giusto, e non smette di farle anche quando si rende conto di inimicarsi così persone, gruppi, clan, comitati d’affari che prediligono invece il silenzio complice e omertoso. Questi film andrebbero proiettati e discussi in tutte le scuole del Paese, visto che riguardano la qualità della vita sociale e la minaccia per la sua integrità.

Segnalo infine un dettaglio non marginale che accomuna i due film: la solitudine umana e sentimentale dei due giornalisti protagonisti. La loro refrattarietà al compromesso, la dedizione all’impegno nel loro lavoro, assunto e declinato con modalità che fanno pensare al rigore esigente di una vera missione, il carico di responsabilità, la tensione  e lo stress, i pericoli corsi inducono al conflitto anche con le persone più vicine e care.  Ma la motivazione, la rabbia, l’intransigenza nel loro impegno hanno a che fare con l’inaccettabilità di quello che viene vissuto come un vero e proprio tradimento. Lo Stato, e chi ai vari livelli e nei diversi ruoli lo rappresenta, dovrebbe essere lì per proteggerci. E’ tutore e padre, tra di noi c’è un patto di fiducia così piena e sacra da non poter essere infranta. La generazione del ’68, la ribellione che a partire da lì, negli anni e decenni successivi ha assunto varie forme, affonda le sue radici nella ferita di quel tradimento, nella scoperta che i padri hanno in larga parte tradito, che la menzogna e l’inganno sono penetrati e dilagati fin dentro le stanze più intime e riservate. La battaglia tra le due logiche, le due anime, le due visioni e concezioni – quella cialtrona e rinunciataria, pavida e cinica, e l’altra socialmente responsabile, etica e idealista – è ancora in corso, anzi, mai come in questi nostri giorni è stata così aspra e aperta, così campale e decisiva. Film come quelli di Marco Risi ne sono denuncia e conferma.  Che altro dire, se non: molti di questi film!