The Wrestler

Che cosa mai spingerà un uomo a combattere su un ring dove, per avere successo, deve ricevere e infliggere dolore e sofferenza, enfatizzandoli e spettacolarizzandoli al massimo?  Il wrestling è infatti quella forma di combattimento dove la regola è di mostrare fino a che punto può arrivare la crudeltà violenta di uno scontro fisico, e siccome si sa che al pubblico piace, che più ce n’è e più si eccita e si diverte, gli effetti in scena si caricheranno al massimo, fino a sanguinare di brutto, fino a rompersi le ossa e magari crepare di infarto. 

Nel film, ben diretto da Aronofsky e magnificamente interpretato da Mickey Rourke, bolso e umanissimo monumento al lottatore estremo, l’incontro sul ring e le sofferenze patite vengono perfino paragonate a quelle del Cristo flagellato per il pubblico diletto mentre ascende al Calvario. Qualcuno si deve sacrificare, qualcuno deve offrirsi nell’assumere su di sé quello che tutti temono, il dolore della carne martoriata dalle percosse. Ecco, The Wrestler è qualcosa che ha a che fare con un rito para religioso, con una seduta terapeutica collettiva: due supermen se le suonano in modo estremo, scorretto, cruento, mostrano e magari recitano ed esasperano la condizione di chi si strazia e dilania, evocando in questo modo ed esorcizzando terrori nascosti collettivi. The Wrestler è colui che meglio si mostra capace di drenare e assumere su di sé il pus di follia e violenza che ristagna nei sotterranei di ciascuno di noi, lo sciamano e la vittima sacrificale che ci libera dei nostri segreti terrori.

E chi è la mamma con figlio di nove anni che si guadagna da vivere ballando seminuda una sguaiata e squallida lap dance su un palco illuminato e circondato dalla tristezza infinita di uomini soli bisognosi di dosi forti di sculettamenti femminili, se non una parte connessa e interattiva con un desiderio sessuale andato a male?

I protagonisti delle storie raccontate nel film si direbbero bambini ipervirili e bambine iperfemminili che in realtà svelano la natura di bambinoni mal cresciuti e narcisi fottuti - così come un pò siamo tutti noi - , incapaci di crescere e accettarci per quello che siamo. Poi, nell’intreccio delle storie raccontate nel film,  c’è la figlia del protagonista campione di lotta estrema che  ha pagato le conseguenze della patologia del padre – o della società dei padri – in termini di abbandono e solitudine; e il figlio bambino dell’entreneuse che riempie il suo vuoto solitario esaltandosi e riconoscendosi nelle figurine dei campioni muscolosi e forzuti, riaprendo e perpetuando così il miserabile cerchio.

The Wrestler è un film di una tristezza infinita, che parla però di drammi reali e per molti aspetti universali, benissimo interpretato da Rourke. A proposito, ve lo ricordate nell’interpretazione del fratello maggiore di Matt Dillon – nella parte di “quello della moto” – nel bellissimo Rumble Fish di Coppola? Lì interpretava la parte del misterioso e fascinoso ribelle, adorato dal fratello minore e dai suoi amici, qui il suo eroismo solitario è approdato all’autolesionismo eroico di cartapesta degli incontri finti-ma-non-del-tutto. Che brutta storia è la vita, se vista attraverso la parabola tracciata dai ruoli recitati in questi due film da un grande attore …

Gian Carlo Marchesini