Rio e il Brasile: grande sviluppo economico democratico o ultima fermata?

Il film Ultima fermata 174 di Bruno Barreto (2008) visto ieri sera al cinema Farnese in Campo dei Fiori, all’interno di una rassegna del recente cinema brasiliano, mi ha fortemente colpito. Si tratta in effetti di un film bello, interessante quanto terribile. Bello sotto il profilo cinematografico, perché Bruno Barreto è un regista esperto, ha già realizzato molte altre opere alcune apprezzate anche in Italia (Dona Flor e i suoi due mariti, Gabriela, ecc.). La storia che racconta in Ultima fermata 174 è di forte impatto, parla della vita in una favela di Rio, di narcotrafficanti e criminalità organizzata, di bambini nati nella miseria e nella violenza e che presto, orfani o abbandonati, diventano bambini di strada e poi finiscono in carceri minorili, o a far rapine agli automobilisti ai semafori degli incroci. Dormono sotto i portici del centro storico commerciale e ricco di Rio, provocano la reazione violenta dei proprietari dei locali e dei negozi che per farli sloggiare assoldano killer che irrompono la notte e ne fanno letteralmente strage. Tutti fatti ed episodi, ahimé, per nulla immaginati o immaginari.

La storia del film si sviluppa dentro linguaggio e stilemi di un classico melò, il protagonista è un ragazzo, Alessandro, che fa da filo conduttore dell’intera tragica vicenda; la madre, cui è stato sottratto ancora in fasce, non rinuncia a cercarlo, e alla fine riesce tra mille peripezie a trovarlo. Ma ormai è troppo tardi per riscatti e redenzioni, il corso degli eventi è segnato, il crescendo drammatico delle storie sfocia nel sequestro compiuto dal ragazzo (è disperato, ha scoperto il suo migliore amico a letto con la ragazza di cui è innamorato) di un autobus e dei suoi passeggeri, nell’assedio del mezzo da parte della polizia accorsa in forze, nel cruento assalto finale in cui perde la vita il ragazzo stesso.

Nel dibattito seguito alla proiezione alla presenza di un numeroso pubblico italo-brasiliano, e dello stesso ambasciatore del Brasile in Italia, il regista Barreto ha risposto alle domande. Sono intervenuto anch’io per segnalare che avevo trovato il film magistralmente girato e coinvolgente. Ma… ma insomma, era il terzo film che vedevo ambientato a Rio: il primo Cidade de Deus, il secondo Tropa de Elite, il terzo, quello appena visto. Tutti e tre danno di Rio una immagine di violenza impressionante, di corruzione e miseria, di degrado e inferno. Terrificanti favelas, bambini di strada che sniffano colla e scippano i passanti, narcotrafficanti che imperversano, droga a fiumi, illegalità e malavita al comando. Ma può essere mai che Rio, città di otto milioni di abitanti, sia soltanto ed esclusivamente questo? Per carità, nessuno pretende cartoline turistiche sdolcinate e consolatorie, nessuno reclama film infarciti di carnevale, samba e futbòl: ma questo concentrarsi di violenza e miseria in ben tre recenti film ambientati a Rio non rischia di raffigurare e fornire la stessa unilaterale, anche se apparentemente opposta, cartolina? Il Brasile, sia pure tra mille contraddizioni e squilibri, è un Paese in crescita e sviluppo e grande progresso, come si legge e ci viene raccontato: o, come appare nel cinema dei suoi migliori registi, un irredimibile inferno?

Bruno Barreto, il regista, ha risposto con qualche evidente imbarazzo, giustificandosi e spiegando che lui aveva realizzato altri film con storie e atmosfere più allegre e comunque diverse. Questo era il suo diciottesimo film, e così gli era venuto. Sarà: ma a me il finale insistito alla Quentin Tarantino, con l’esibizione centellinata di violenza accompagnata in sottofondo dagli accordi suadenti e ruffiani di una chitarra, e con frequenti inquadrature panoramiche della statua del Cristo Redentore che osserva impassibile dall’alto, non ha convinto del tutto. La tragedia va servita in pensoso e rispettoso silenzio, altrimenti diventa spettacolo, magari di buon livello, ma sempre commercialmente, seduttivamente manipolatorio.

Alla fine, uscendo di sala, l’ambasciatore brasiliano si è avvicinato a stringermi la mano. Un po’ interdetto, ho esclamato: guardi che io il Brasile lo amo! Lui ha sorriso, come dire: appunto per questo!



Gian Carlo Marchesini