A serious man dei fratelli Joel e Ethan Coen

Ho odiato di tutto cuore A serious man dei fratelli Coen. L’ho odiato per la capacità che mette in campo nel descrivere e rappresentare un mondo di persone senza speranza, che non amano e non desiderano, che non pensano e non realizzano nulla di buono insieme. Ho odiato innanzitutto il protagonista, che insegna matematica e scrive quotidianamente su una enorme lavagna davanti a centinaia di studenti decine e decine di formule algebriche che nessuno capisce, e forse neanche vuole capire. E a casa scopre all’improvviso che la moglie vuole lasciarlo per un altro uomo cui la moglie è morta da poco; e suo fratello, che lui ospita in casa, è un buono a nulla che la polizia vuole arrestare per atti contrari alla pubblica decenza nei cessi pubblici; e i figli sono ladruncoli inveterati e poltroni parassiti nullafacenti; e i suoi studenti lo ricattano e corrompono per ottenere promozioni immeritate; e i rabbini della sua comunità ebraica sono dei perfetti cacciaballe e conta favole che recitano fingendo una saggezza che non hanno; e il suo preside di facoltà è un ipocrita viscido che si lascia influenzare nei suoi giudizi da lettere anonime di vigliacchi denigratori; e i suoi vicini di casa sono imbroglioni violenti o seduttori incalliti dediti al tradimento e ai peggiori vizi.

E questo serious man su cui poggia il film è un coglione perennemente stupefatto e sorpreso da un mondo che credeva di conoscere e invece scopre di non conoscere affatto, che pensava di indossare come un buon vestito comodo e caldo e invece si rivela essere una sporca e smandrappata coperta di cavallo. E questo deficiente di serious man non fa che lasciarsi miseramente sorprendere da queste continue pessime scoperte, sempre più costretto a contemplare piagnucolando le macerie morali e sociali in cui si aggira con le palle degli occhi fuori dalle orbite e lo sguardo stuporoso ed ebete di un bue che credeva di vivere nella migliore stalla possibile, e invece scopre che lo stanno spingendo tutti verso il patibolo. E questo inetto di serious man scopre come un’oca allo spiedo che il lavoro è una gran porcata, la famiglia è peggio, gli amici non esistono, i colleghi tradiscono, gli avvocati rubano, i rabbini e la loro grande religione ebraica sono tutto un clamoroso imbroglio, la bella vicina di casa scopa come una inanimata demente robot, e insomma, tutto quello che conosce e in cui si aggira è un incubo che gli provoca incubi notturni ancora peggiori.

Odio A serious man dei fratelli Coen perché il loro film è un frutto così marcio e intossicato di paranoia persecutoria autodistruttiva che quando il film è finito e sono uscito dalla sala all’aperto, sul marciapiede ho temuto che dall’alto mi cadesse dritto in testa qualche micidiale e pesantissimo vaso. Naturalmente, nella sua orrenda, sfigata e depressa bruttezza, il film è fatto che meglio non si può, anzi, è proprio una perfetta macchina depressivo-distruttiva. Basti pensare che il personaggio più rappresentativo è lo zio che passa gran parte del tempo chiuso in bagno a spremersi il pus da un enorme ascesso sulla nuca…

Alla fine, il nostro professore protagonista, credendo di salvarsi la pelle dalla valanga di sventure e sciagure, accetta i soldi della corruzione di un suo studente per pagare i debiti accumulati con gli avvocati: ma subito gli arriva notizia di un più che probabile cancro diagnosticato dalle lastre fatte, mentre dalla finestra si intravede l’avvicinarsi di un tornado che non lascerà scampo. Insomma, ho visto un film odiosissimo che racconta cinematograficamente molto bene come si precipita nella distruzione paranoica assoluta: alla fine non rimane in piedi un mattone che sia uno. La vita, la realtà, la famiglia, il lavoro, la scuola, la religione, la comunità, gli amici, i parenti e i figli, il piacere del sesso e l’amore sono tutti una gran cagata e una schifezza. Amen: e che qualche dio non del tutto bastardo ce la mandi buona – sempre che non si tratti di un cancro ai polmoni o di un tornado…

Gian Carlo Marchesini