Napoli: uno, due, tre!

Uno

Ho visto – e lo dico consapevole di non rientrare da un viaggio oltre i bastioni di Orione - perfino tre, anche quattro corpi pigiati a cavalcioni di un motorino: spesso un’intera famiglia, padre, madre e due bimbi, pressati sul poco spazio del sellino a comporre un viluppo di membra insaccate come monumento al salume motorizzato. Sfrecciavano rombando tra auto dovunque parcheggiate e buche come dovessero arrivare con urgenza chissà dove. Tutti rigorosamente senza casco. A un certo punto sorge perfino il dubbio che non abbiano una meta reale, perché, procedendo nel meandro serpentesco dei vicoli del Rione Sanità, riappaiono all’improvviso sfrecciando in direzione opposta come inseguiti da qualche orribile minaccia. (Ma in verità, non si dovrebbe trattare di alcuna orribile minaccia, visto che le espressioni dei centauri in viluppo laocoonteo sono spesso di una ebetudine beata…). Insomma, per i vicoli del centro storico di Napoli piroettano in continuazione migliaia di motorini su cui si sbizzarriscono in rombanti acrobazie singoli, coppie e intere famiglie. Si incontrano a gironzolare anche macchine di polizia e carabinieri – e, ripeto, chi dei motociclisti tiene in testa il casco fa scandalosa eccezione. Ma i garanti della legge e i tutori dell’ordine non fanno una piega: la legge viene tranquillamente ignorata sulla pubblica via e in massa, e chi è pagato per farla rispettare sembra essere afflitto da totale cecità. Segnalo il fatto, scambiando civilmente chiacchiera, a un edicolante del luogo: la risposta è un allargare rassegnato di braccia accompagnato dall’esclamazione: ma oggi è così dappertutto in Italia! Continuo a passeggiare per vicoli e rampe, punzecchiato visivamente e sonoramente dallo sciame irridente delle famigliole motorizzate, e approdo a un gigantesco SUV che impedisce ogni ulteriore proseguimento. Vedi Napoli antica e storica: e poi finisce che ti fermi e non procedi più.

Due

A piazza Plebiscito, e lungo Via Toledo, capita di assistere a ripetute scene di caccia, da parte dei vigili urbani, inflitte agli extracomunitari ambulanti – senegalesi specialmente. Sembra di assistere alla recita teatralizzata di una sfida tra guardie e ladri, o a un infantile e divertito nascondino. All’improvviso, mentre con un amico scambio chiacchiera o contemplo qualche portentoso scorcio nello spazio esteticamente superbo della via e della piazza, ecco che i venditori ambulanti prendono inaspettatamente il volo come stormo di neri colombi puntati da una muta di cani. E’ l’arrivo di una pattuglia di guardie a creare lo scompiglio, ma il tutto si ricompone dopo che l’innocua muta si è allontanata. Passata la tempesta, scomparsa la minaccia, l’allegro presepe del mercatino ambulante riprende rutilante e pigro. E finalmente arriviamo per il pranzo a una minuscola trattoria a gestione famigliare, nel cuore del Rione Sanità, priva di insegna e quindi reperibile solo a chi casualmente vi inciampi o già nel tempo l’ha frequentata. Il vecchio padre seduto all’ingresso su una cassetta di frutta vi accoglie con un ruvido grugnito di benvenuto; la madre sfaccenda operosa tra i fornelli in cucina; il figlio vi serve a tavola. Dentro il locale niente fronzoli: tavoli di finto marmo ricoperti con un foglio di carta colorata, specchi consunti alle pareti, sedie impagliate. La scelta del menù vi viene declamata a voce del figlio: quattro piatti tutti a base di pesce. Mangiate come noi oggi, se vi capiterete: spaghetti alle telline affogate nel sugo di pomodoro, olio sopraffino e peperoncino; un tortino di alici accompagnate da un contorno di friarielli saltati, il tutto aiutato da uno zolfigno vino bianco del Vesuvio. Vi sentirete i sensi della lingua e del palato scoppiettare in crescendo e salire a inebriare le anse e i meandri reconditi del cervello. Il tutto al costo, ovviamente non fiscalmente registrato, di 13 euro ciascuno.

Tre

Alla presentazione del mio libro, dentro una magnifica e severa sala del Maschio Angioino, siamo rimasti alla fine in dodici, tutti amici di lunga lena. Mi è sembrato di essere - fatto salvo l’enorme divario in distanze e proporzioni – un redivivo Gesù tra gli Apostoli. Dopo le sapienti introduzioni dei relatori, gli amici di una vita hanno detto a turno la loro sul libro, sulle alterne vicende dell’amore e della fedeltà alla bellezza dei luoghi, sulle trasformazioni lente e spesso non così lievi e positive che il tempo ingenera sull’oggetto delle riflessioni e su chi le propone. Io non ho praticamente aperto bocca, se non per sorridere e ringraziare. Hanno tutti parlato con rincuorante interesse del libro, e parlandone hanno parlato anche di sé – così come d’altra parte è successo, scrivendolo, all’autore del libro stesso. Tutti hanno in qualche modo rivelato il percorso di vita compiuto, e il punto critico a cui stanno e come collettività stiamo arrivando, il proprio bagaglio ancora residuo - malgrado vicissitudini travagliate, ferite e bruciature - di speranza e progettualità. Uno di loro, che insegna ai suoi studenti come attrezzare e valorizzare la bellezza dei paesaggi di un territorio, ci ha tutti invitati a rimanere in silenzio per 30 secondi. Incuriositi e divertiti abbiamo aderito. Abbiamo ascoltato zitti il rombo del traffico sottostante il Maschio Angioino, e il rumore dei motori delle imbarcazioni nel Porto. “Ecco, avete ascoltato uno degli elementi preziosi, e impagabili, qui del tutto assente ma a Maratea sovrano: il silenzio. Guardatevi dal vagheggiare per quei luoghi trasformazioni radicali da turismo congressuale. Così porterete là dentro anche i cascami connessi: il frastuono del divertimentificio alla Rimini, prostituzione e spaccio di droghe. Attrezzate invece quei luoghi come buen retiro e spazio per l’arte e la riflessione, la lenta escursione a piedi, l’elevazione e la rigenerazione dello spirito, il luogo generoso dove gustare il cibo nutriente e sano per la mente e il corpo. Mai come oggi, nel mondo, tali prerogative sono così apprezzate, ambite e necessarie. ”Qualcuno di loro, abbracciandomi prima del rientro a Maratea, ha alla fine borbottato: “ma noi lì in un silenzio totale viviamo praticamente otto o nove mesi l’anno..! Non ci sarà consentito un po’ più di allegro chiacchiericcio, e magari con qualche ospite che si intrattiene un po’ più a lungo, e che torna volentieri perché sa che lì trova un luogo civilmente attrezzato, e non un deserto?”

Gian Carlo Marchesini