Tra le nuvole di Jason Reitman

Tra le nuvole è un film in parte bello e in parte traditore, nel senso che alla fine tradisce innanzitutto se stesso. Parte alla grande, affrontando risolutamente l’autostrada principale – quella della rappresentazione impietosa della spietatezza criminale del modello economico dominante. Poi, sul più bello, quando ci si aspetta l’approdo a delle conclusioni coerenti, imbocca la via di fuga – quella dei dilemmi sentimentali del maschio adulto 45enne (matrimonio, famiglia e figli con annesse complicazioni, o l’orticello solitario e sterile di una libertà assoluta?).

La prima parte è in effetti molto interessante: vi viene messo in scena e raccontato come il capitalismo finanziario e iper liberista in crisi per dissennata bulimia espelle oggi dalle aziende a migliaia addetti e dipendenti nel modo più rapido, efficiente e indolore possibile (Citigroup, dati del 2009 sul 2008: utili più 300%, licenziati più 58.000). Con il ritmo giusto e l’apporto di un attore, George Clooney, in forma smagliante, il regista Jason Reitman (Thanks for smoking, Juno) mostra come si “terminano” migliaia di lavoratori, con quale solerte efficienza, con quanta scientifica spietatezza. A metà del film uno pensa: ah, è così che si fa, cazzo come sono bravi quelli del cinema americano a raccontare di quanto sangue e merda grondi la loro super efficientissima capitalistica impresa. Dopo di che, non ancora finito di formulare l’apprezzamento, il film prende una piega totalmente altra, cambia binario e registro. Diventa una commedia sentimentale sul senso oggi, e le difficoltà, del mettersi in coppia e mettere su famiglia: con garbo ed eleganza, le battute giuste, le musichette alla Simon e Garfunkel a far da ruffiane in sottofondo. Ma che fine ha fatto la prima parte sulle gesta dello spietato e superefficiente “tagliatore di teste”? Da spregiudicato e inquietante teorico ed esecutore della morte rapida inflitta là dove serve, senza eccedere in inutili sofferenze, Clooney si trasforma, da macchina celibe e scapolo impenitente, in fratello affettuoso, in innamorato pronto al grande salto verso la costruzione del nido. Ma la donna di cui si è innamorato è più dissociata e cinica di lui, per cui al nostro eroe, spietato ma anche sfigato, non rimane che tornare al suo vero mestiere fatto di 320 giorni l’anno in volo per planare e licenziare là dove è chiamato.

Il nucleo significativo della storia del protagonista del film – significativo nella sua indaffarata insensatezza - è quello del dichiarato e programmato scopo di vita: raggiungere i dieci milioni di miglia trascorse in volo per potere così entrare nell’esclusivo club dei sette fortunati che in tutto il mondo l’hanno raggiunto. E quando il comandante dell’aereo del volo che sancisce il record si avvicina per conferirgli l’ennesima tanto desiderata e prestigiosa card, l’espressione confusa del bel George esprime acme e capolavoro della dichiarazione di scacco e fallimento cui è approdato un intero modello di vita, fatto di punti, feticci e totem a coprire un tragico vuoto. Insomma, la vita dell’odierno manager di una onnipotente multinazionale sarebbe al servizio di una religione del possesso assoluto e del controllo spasmodico del nulla.

Tra le nuvole è quindi il risultato di un incastro incongruo e dissociato – forse a somiglianza dell’intera società, cultura, mentalità, civiltà capitalistica a dominante speculazione finanziaria. Ondeggia e precipita di palo in frasca, da un mondo aziendale sterilizzato da emozioni e sentimenti, da solidarietà e condivisione, a uno sociale e famigliare affetto da altrettanto drammatica perdita di senso: ma che si continua a cercar di mantenere in vita, con la respirazione bocca a bocca e le scariche elettriche che si usano con un corpo assiderato o semi annegato: ricorrendo a dosi massicce di stereotipi e cliché, melensaggini e battutine furbe, coretti musicali e romanticherie. Al regista è mancato il coraggio di fare fino in fondo un film sull’approdo di alienazione drammatica cui è giunto il mondo delle grandi aziende dentro l’attuale tempesta di spreco, contraddizione e non senso. Peccato, poteva essere un film ottimo anche a fini didattico-pedagogico-conoscitivi, come fino a metà in effetti è. Poi, quando parte il cazzeggio pseudo amoroso, è meglio staccare e occuparsi d’altro.

P.S. Licenziare è un equivalente simbolico e materiale dell’atto di uccidere. E’ l’esercizio del comando e di un potere assoluti – l’altra faccia di quello di generare, dare la vita, creare. Quando la macchina di una impresa economica è guidata dal principio di produzione e accumulo di ricchezza mediante la leva della speculazione finanziaria sregolata e illimitata, a vantaggio di un gruppo ristretto di privilegiati che se ne frega di tutto e di tutti, l’esercizio del potere di licenziare, cioè di eliminare ed escludere - e anche, perché no, se del caso lasciare morire e uccidere – diventa il discrimine necessario tra chi è e chi no, tra chi ha e chi no, tra chi può e chi non può.

Tra le nuvole poteva essere di tutto ciò un esemplare referto: ma al dunque, in evidenza, il regista se l’è fatta sotto e s’é dato.

Gian Carlo Marchesini