L’oscillazione del pendolo

Sui giornali di questi giorni ho letto in sequenza Nicola Lagioia, quarantenne scrittore barese - assolutamente da leggere il suo ultimo Riportando tutto a casa - che sul mattinale di domenica de Il Sole24 Ore dà in testa al settantenne boss della LUISS Pierluigi Celli e al suo libro Generazione perduta, definito Urano paternalista finto di sinistra perché, distribuendo giudiziosi ammonimenti, in realtà divora i suoi figli; Nicolò Carnimeo che su Il Fatto esulta perché, non avendolo potuto allora fare lui da sessantottino, oggi vede suo figlio manifestare per le strade e sulle barricate; e infine Roberto Saviano, marchiato e choccato fin dall’infanzia dalla prepotenza malavitosa, rimproverare su La Repubblica lo stesso ragazzo perché così non solo infrange leggi e regole del buon vivere sociale, ma dà esca a strumentalizzanti letture e forza alla repressione. Ecco tre riflessioni di intellettuali, che potremmo definire organici alla sinistra, in posizione differenziata tra di loro.

Mi è venuto da pensare che la differenza tra Carnimeo e Saviano sta probabilmente nel fatto che il primo ha vissuto l’esperienza del ’68, il secondo no; il primo ha voluto, e intravisto, una visione di società e futuro radicalmente alternativi, il secondo è cresciuto dentro un sistema a egemonia sociale e culturale malavitosa. E’ chiaro che il primo, Carnimeo il sessantottino, per realizzare un mondo alternativo a quello a struttura gerarchico patriarcale tradizionale doveva necessariamente disobbedire, trasgredire, infrangere regole, costruzioni simboliche, gerarchie politiche, schemi mentali e paradigmi culturali. Si trattava di mettere in atto, dopo quella della resistenza partigiana antifascista, una nuova fase di trasformazione sociale rivoluzionaria. E in ogni rivoluzione vera, l’impatto e i conti con la violenza sono inevitabili – anche se si decide soltanto di subirla, come accadde per Gandhi, che infatti ne è rimasto ucciso.

Il secondo, Saviano, è cresciuto nella speranza e nel sogno di vedere ripristinata la legalità e le regole del vivere sociale, quotidianamente calpestate e trasgredite da un modello malavitoso prepotente. Nessuno dei due ha ragione in assoluto, nessuno dei due ha in assoluto torto: nel loro contesto e fase politica specifica hanno ragione tutti e due. Essendo stato sconfitto il movimento di contestazione radicale del Sessantotto – non a caso degenerato, o fatto degenerare con la strategia della tensione e delle stragi, in violenza endemica omicido-suicida -, la battaglia per la legalità ha preso piede nei decenni successivi – gli Ottanta e i Novanta – che hanno visto la libertà egualitaria e collettiva rivendicata dai sessantottini caricaturalmente trasformata dal sistema che li ha sconfitti in illimitata licenza, in sfrenato liberismo del mercato, in travolgente prepotenza, in feroce individualismo – insomma, nell’attuale rovinoso berlusconismo.

Del trinomio fraternità, libertà, eguaglianza, è rimasta la sola libertà, degenerata però in liberismo individualistico privato. Qualcuno oggi, anche a sinistra, tignosamente sostiene che è stata colpa del ’68: io dico che hanno ahimé vinto gli oppositori stragisti e piduisti del ‘68, che in questa recente fase si sono pienamente dispiegati liberandosi anche della capacità di moderazione mediatrice dei Moro e del rigore etico di Berlinguer. Ma quanti anche della attuale sinistra hanno taciuto, o dimissionariamente abbozzato?

La trasgressione come leva per un percorso di liberazione a vantaggio e beneficio di tutti (gli oppressi, ovviamente) è così diventata grimaldello che ha consentito a minoranze – il 20% che detiene il 60% della ricchezza di un Paese – di incrementare dominio e privilegi. Legge vs Desiderio/Utopia, Regole e loro emancipante Trasgressione, questa oscillazione dialettica tra polarità contrapposte, nel passaggio dagli anni 60/70 agli 80/90 ha invertito valenza e senso di marcia – il passaggio simbolico forte essendo probabilmente rappresentato dalla marcia dei 40.000 impiegati e quadri della Fiat che nel 1980 rivendicavano per le strade di Torino un ritorno a un regime di “legge e ordine”. (Un po’ come chi, spaventato dalle responsabilità implicite nell’assunzione di una piena indipendenza e autonomia, reclama spaventato del suo stesso ardire che gli siano messi guinzaglio e museruola: basta che il padrone garantisca la pappa quotidiana!)

Berlusconi dice: se farete come me, avrete anche voi e godrete come me tutto ciò che io, che ero uguale a voi, oggi possiedo. Celli dice: figli, mettetevi in salvo, scappate all’estero, qui per voi non c’è più spazio – essendosene anche lui accaparrato un bel po’. Carnimeo dice: ragazzi, ribellatevi, mettete la vostra rabbia al servizio della vostra emancipazione/liberazione. Completate quello che noi allora non siamo riusciti a fare… Saviano dice: ma quando mai! E’ una trappola! Su quel piano lì voi avete perso in partenza, loro sono maestri nell’uso della violenza!

Eccole delineate in sequenza le posizioni in gioco:

Non bisogna consegnarsi passivamente al calco formale delle leggi esistenti (sia quelle in vigore – porcellum! – sia quelle che in vigore non sono mai state – sul conflitto di interesse!). Al proposito fa bene ogni tanto ricordare quello che diceva qualcuno duemila anni fa: non l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo…

Non bisogna cadere nella trappola delle provocazioni (se proprio sei costretto a usare la frusta per cacciare i mercanti dal Tempio, vedi poi di non farti tradire e crocifiggere…). Non è infine proprio il caso di dare credito alle sirene paternalistiche dei settantenni malati di cariche e incarichi e onorificenze - e buone prediche e pessime pratiche…

In qualche provvisoria conclusione: tutti e tre i nostri intellettuali organici alla sinistra – Lagioia e Carnimeo sicuramente, Saviano sia pure in una sua accentuazione legalitaria giustificata da ragioni di esperienza personale, contesto sociale e fase storica (mentre Celli è invece, secondo me, semplicemente definibile come grande e autoreferenziale narcisista, emerito egoista/opportunista) - hanno quindi la loro quota di ragioni. Ma nella eterna e mai doma dialettica tra Legge&Ordine da una parte, e Desiderio&Libertà dall’altra, dove cade oggi, dove ha da cadere l’oscillazione del pendolo affinché la Storia non sia, o non continui in evidenza ad essere, barbarico-regressiva?

Gian Carlo Marchesini