Noi credevamo,

il film di Mario Martone sulla tormentata storia del nostro patrio Risorgimento.

Devo intanto dire una prima cosa: che in una domenica battuta da vento e pioggia siamo riusciti a vederlo solo perché abbiamo avuto la pazienza di metterci in coda insieme ad altre trecento persone, per arrivare alla cassa fradici e sentirci dire che i posti in sala erano esauriti. Abbiamo allora acquistato i biglietti per lo spettacolo successivo per il quale, tre ore dopo, la coda si era riformata uguale, e sempre sotto la pioggia. Il che significa che, essendo il film in programma a Roma in sole cinque sale, c’è qualche idiota che non sa o non vuole fare bene il suo lavoro. Ma qui in cabina di regia ha da esserci sicuramente qualche presenza malefica, che vuole impedire che si fruisca di occasioni di stimolo a nutrimento di una conoscenza critica e di una intelligenza riflessiva.

Il film, che dura due ore e 40 minuti senza intervallo, è così avvincente e ben fatto che si resta saldamente incollati alla poltrona, provando quasi rammarico alla fine che sia terminato. Noi credevamo racconta fatti storici di oltre 150 anni fa ma è come per molti aspetti parlasse dell’oggi – o del perché siamo diventati quello che siamo diventati oggi. C’è dentro l’oppressione arrogante del privilegio e la voglia di lotta e riscatto, la solidale amicizia e l’irrompere inaspettato e sconvolgente del tradimento, e tutte le sfaccettate e molteplici anime e istanze politiche dell’epopea patria e di un modello di ricerca dell’Unità del Paese che attraversarono il Risorgimento: con le congiure, le cospirazioni e le sette segrete, gli intellettuali idealisti e i bombaroli sovversivi, gli anarchici e i socialisti, i monarchici e i democratici, gli esponenti della nobiltà illuminata, i braccianti ribelli e i poveri cristi. Il tutto raccontato attraverso un fitto intreccio di fatti famigliari e amicali, di intrighi e complotti, tra slanci eroici appassionati e calcoli cinici di chi nella guerra civile e nel sovvertimento politico e sociale si getta rapace e si arricchisce.

Il tutto accompagnato da una ambientazione alternata e storicamente pertinente tra Cilento e Aspromonte, Torino, Parigi e Londra, e interpretato da una recitazione solenne, concitata e intensa da parte di tutti gli attori protagonisti e comprimari, verosimili e verissimi come se realmente stessero vivendo le vicende che passano sullo schermo. E un accompagnamento musicale perfetto di musiche di Verdi e Rossini da far lievitare il petto e anche, dalla poltrona, il culo. E poi c’è la mano salda e la testa sapiente di Mario Martone, che finalmente dà vita struggente alla tormentata e incompiuta storia del nostro patrio Risorgimento, facendola riemergere dalla cripta dove l’aveva rinchiusa imbalsamata e triste la nozionistica conoscenza scolastica. E, rendendo giustizia agli idealisti illusi, quelli che nel titolo – Noi credevamo – si confessano delusi, Martone rimette in vitale movimento, dei momenti fondativi e topici del nostro passato, ciò che ci era stato nascosto e confiscato.

Dentro il film c’è la Storia fatta di tante umanissime storie, la nascita di una Nazione e insieme il naufragio e l’aborto di una speranza e di una illusione. Tra le righe, ma neanche tanto, si intuisce che gli eroi sacrificati nel Risorgimento dalla ragion di Stato, quelli costretti nel Sud a trasformarsi in fuorilegge e briganti, potrebbero anche essere quelli rinnovati e ritrovati anni dopo nei partigiani antifascisti, o, per certi aspetti politico-psicologici, perfino nei più recenti e sovversivi combattenti brigatisti. L’Italia nel film è proposta come una costruzione incompiuta in cemento armato che infatti, a un certo punto del film, inopinatamente e incongruamente, ma in realtà no, viene inquadrata. L’immagine non è casuale, bensì intenzionale, è l’evidenza tragica del nostro Paese: i piloni di cemento armato si slanciano e svettano, ma costituiscono intelaiatura di una non completa e mai definita struttura.

Noi credevamo, nel senso che ci eravamo illusi, di lottare - nel Risorgimento, nella Resistenza antifascista, negli anni Sessanta e Settanta - per un Paese democraticamente compiuto e completo, e invece abbiamo ottenuto un mezzo ibrido amputato. Lunga vita a Martone e al suo potente e appassionato cinematografico contributo.

Gian Carlo Marchesini