MNEMOSYNE, COLEI CHE RICORDA


I Romani la chiamavano Moneta, perché il verbo moneo significava ammonire. Il passato - o meglio la memoria del passato - ammonisce a non ripetere gli errori e a trovare nella trascorsa grandezza un riscatto o almeno una speranza per il futuro (1).
Di lei i Greci affermarono che avesse inventato la parola. Come si potrebbe parlare (comunicare, addirittura pensare) senza la memoria? Notiamo che Mnemosine era opportunamente ritenuta madre delle Muse in un’epoca in cui l’arte e la sua trasmissione-fruizione erano totalmente affidate alla tradizione orale. Era quindi una dea molto, molto antica, tant’è vero che i primi mitografi – tra cui il grandissimo Esiodo – la vollero figlia di Gaia e di Urano, il Cielo Stellato, padre del Tempo (Chronos-Kronos.). Proprio in forza dell’antichità Mnemosine può costituire un ottimo esempio di quella moltiplicazione delle forme divine cui si assiste in molte illustri mitologie. Infatti apparteneva alla Triade delle così dette Vecchie Muse, le primordiali divinità della musica, ma aveva anche altri fratelli. In totale la prima generazione dei Titani enumerava, secondo Diodoro Siculo, i maschi Chronos, Iperione, Koio, Iapeto, Krio e Oceano da un lato, dall’altro le femmine Rea, Themis, Mnemosine, Foibe, Tethys, Theia. Sei maschi e sei femmine, dunque, per un totale di dodici, come i mesi dell’anno.


Le Titanesse, secondo un’aggiornata interpretazione, rappresenterebbero i differenti aspetti della Madre Terra (Gaia). Tethys era l’acqua sotterranea, Rheia la fertilità della natura selvaggia. Themis l’ordine (compreso l’istinto negli animali), Phoibe la mente intellettiva, Theia la visione e Mnemosine la capacità di apprendere. Data la loro effettiva natura di epifanie di Gaia, più o meno tutte erano considerate oracolari: Themis governava gli oracoli terrestri, Phoibe era la signora di Delphi, Theia (da theao = vedere) proteggeva l’ispirazione mantica.
Da Mnemosine, della sestina femminile, per emanazione derivò la prima Triade musicale, composta da Melete, la Melodia; Aoide, il Canto; e Mneme, il Ricordo, cioè Mnemosine stessa. Come si evince dall’Inno Orfico 77 a lei dedicato, in antico era considerata consorte di Zeus e capace di liberare dall’oblio ogni mente. Grazie a ciò si chiedeva alla dea di consentire all’anima di unirsi all’intelletto, di incrementare le facoltà raziocinanti e il pensiero, rinvigorendo “l’occhio mentale“ e disperdendo le tenebre della dimenticanza (entificata nel fiume Lethe. Perfino Platone, in generale abbastanza scettico riguardo ai miti, nel Krizia afferma di volere invocare “soprattutto Mnemosyne”, importante per il discorso che intende fare, e si dichiara “dipendente dal favore di lei”. Del resto Diodoro Siculo rammenta che secondo l’opinione comune era stata la Titanessa a designare ogni cosa mediante l’attribuzione di un nome. Lei stessa vantava numerosi epiteti esornativi: dal bei capelli, dal peplo d’oro, dai grandi occhi. La sua avvenenza le attirò le attenzioni di Zeus quando quest’ultimo ancora non si era unito in matrimonio ad Hera. Il dio assunse le sembianze del pastore marito di Mnemosyne e la sedusse:
“ Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus, lungi dagli immortali, il sacro letto ascendendo”, riporta Esiodo nella Teogonia.


I Romani la chiamavano Moneta, perché il verbo moneo significava ammonire. Il passato - o meglio la memoria del passato - ammonisce a non ripetere gli errori e a trovare nella trascorsa grandezza un riscatto o almeno una speranza per il futuro (1).
Di lei i Greci affermarono che avesse inventato la parola. Come si potrebbe parlare (comunicare, addirittura pensare) senza la memoria? Notiamo che Mnemosine era opportunamente ritenuta madre delle Muse in un’epoca in cui l’arte e la sua trasmissione-fruizione erano totalmente affidate alla tradizione orale. Era quindi una dea molto, molto antica, tant’è vero che i primi mitografi – tra cui il grandissimo Esiodo – la vollero figlia di Gaia e di Urano, il Cielo Stellato, padre del Tempo (Chronos-Kronos.). Proprio in forza dell’antichità Mnemosine può costituire un ottimo esempio di quella moltiplicazione delle forme divine cui si assiste in molte illustri mitologie. Infatti apparteneva alla Triade delle così dette Vecchie Muse, le primordiali divinità della musica, ma aveva anche altri fratelli. In totale la prima generazione dei Titani enumerava, secondo Diodoro Siculo, i maschi Chronos, Iperione, Koio, Iapeto, Krio e Oceano da un lato, dall’altro le femmine Rea, Themis, Mnemosine, Foibe, Tethys, Theia. Sei maschi e sei femmine, dunque, per un totale di dodici, come i mesi dell’anno.


Le Titanesse, secondo un’aggiornata interpretazione, rappresenterebbero i differenti aspetti della Madre Terra (Gaia). Tethys era l’acqua sotterranea, Rheia la fertilità della natura selvaggia. Themis l’ordine (compreso l’istinto negli animali), Phoibe la mente intellettiva, Theia la visione e Mnemosine la capacità di apprendere. Data la loro effettiva natura di epifanie di Gaia, più o meno tutte erano considerate oracolari: Themis governava gli oracoli terrestri, Phoibe era la signora di Delphi, Theia (da theao = vedere) proteggeva l’ispirazione mantica.
Da Mnemosine, della sestina femminile, per emanazione derivò la prima Triade musicale, composta da Melete, la Melodia; Aoide, il Canto; e Mneme, il Ricordo, cioè Mnemosine stessa. Come si evince dall’Inno Orfico 77 a lei dedicato, in antico era considerata consorte di Zeus e capace di liberare dall’oblio ogni mente. Grazie a ciò si chiedeva alla dea di consentire all’anima di unirsi all’intelletto, di incrementare le facoltà raziocinanti e il pensiero, rinvigorendo “l’occhio mentale“ e disperdendo le tenebre della dimenticanza (entificata nel fiume Lethe. Perfino Platone, in generale abbastanza scettico riguardo ai miti, nel Krizia afferma di volere invocare “soprattutto Mnemosyne”, importante per il discorso che intende fare, e si dichiara “dipendente dal favore di lei”. Del resto Diodoro Siculo rammenta che secondo l’opinione comune era stata la Titanessa a designare ogni cosa mediante l’attribuzione di un nome. Lei stessa vantava numerosi epiteti esornativi: dal bei capelli, dal peplo d’oro, dai grandi occhi. La sua avvenenza le attirò le attenzioni di Zeus quando quest’ultimo ancora non si era unito in matrimonio ad Hera. Il dio assunse le sembianze del pastore marito di Mnemosyne e la sedusse:
“ Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus, lungi dagli immortali, il sacro letto ascendendo”, riporta Esiodo nella Teogonia.


Dal ripetuto amplesso nacquero nove figlie. L’elenco delle Muse con le rispettive competenze illustra perfettamente il concetto di Arte nel mondo classico: Calliope (dalla bella voce) – da molti considerata la più illustre – patrocinava la poesia epica, Euterpe (che dona piacere) la musica, Clio (che proclama) la storia, Erato la poesia amorosa, Melpomene (la Cantatrice) la tragedia, Polimnia la poesia sacra, Tersicore la danza, Talia (la Fiorente) la commedia e Urania (la Celestiale) l’astronomia. Notiamo che l’astronomia comprendeva all’epoca anche l’astrologia ed era pertanto assimilabile ad un’arte oltre che ad una scienza, come del resto la storia, in cui si privilegiò per molti secoli piuttosto l’aspetto narrativo e letterario che quello documentaristico. Un’altra evidenza balza agli occhi: manca una Musa per le arti figurative, non perché fossero disprezzate ma per la componente tecnica e manuale che le faceva ricadere sotto la protezione di altre divinità, tra cui spicca naturalmente Athena.
Dalla Teogonia possiamo trarre anche altre informazioni sul conto di Mnemosine. Nato dal Caos originario l’universo e le immani forze cosmiche in esso contenute in nuce; creati gli elementi atti a generare e a sostenere la vita e quindi la vita medesima; formatosi l’ordine indispensabile al moltiplicarsi e al prosperare delle creature viventi, era arrivato il momento di conoscere, nonché di comunicare e tramandare, il frutto della conoscenza. Ed ecco Mnemosine, la Memoria. In un punto non ben precisato lungo la linea temporale dei primordi si colloca la nascita dell’uomo. I miti in proposito non si possono contare, ma curiosamente la Grecia arcaica fu molto laconica in proposito. Perfino Esiodo salta l’argomento e ci presenta la singolare tenerezza di Prometeo per la razza umana piuttosto nelle sue conseguenze che nell’eziologia. Eppure Mnemosine e soprattutto le sue (e di Zeus) nove figlie sembrano fatte apposta per consolare, educare, migliorare in ogni modo l’anima umana. Appunto dalle Muse parte l’incipit della Teogonia: il dettaglio, tra l’altro, ribadisce la sacralità della poesia, dato che in antico i rituali cominciavano (e finivano) comunemente con la o le divinità cui l’autore pensava di dovere la propria ispirazione. La dedica invocatoria era una affermazione di umiltà, in quando il Poeta riconosceva ad un’Entità a sé superiore il merito di quando si accingeva a scrivere. Nel caso particolare di Esiodo erano state le Muse stesse ad apparirgli per sospingerlo in tale direzione:

Αἵ νύ ποθ᾽ Ἡσίοδον καλὴν ἐδίδαξαν ἀοιδήν,
ἄρνας ποιμαίνονθ᾽ Ἑλικῶνος ὕπο ζαθέοιο (10).


Per poter donare agli altri “l’oblio delle cure” le Muse devono averne il cuore privo di affanni e non v’è dubbio sull’origine di tanta serenità e letizia. Sono felici perché possiedono il dono del canto, della musica, della danza e della conoscenza. Del resto Mnemosine le aveva generate apposta per innalzare l’animo degli dei, ma il loro compito si estendeva anche agli umani o almeno agli eletti tra di essi: i re saggi, ispirati e scelti da Zeus, ma soprattutto i musicisti e i poeti. Nella meravigliosa esaltazione della poesia e dell’arte fatta da Esiodo non deve passare inosservato il particolare che Mnemosine pare aver programmato deliberatamente la nascita delle figlie, giacendo in amore con il padre degli dei e degli uomini.

(1) Dice il Foscolo nei Sepolcri: A egregie cose il forte animo accendono / l'urne de' forti.
(2) C’è anche chi fa il nome di Aither, il Cielo Diurno. Bisogna però pensare che originariamente la governatrice del Cielo fu la Dea (vedi l’egizia Nut). Mnemosine era in realtà progenie della dea del Cielo e di quella della Terra: era cioè un duplicato della Grande Madre, una sua versione moderna, figlia di se stessa.
(3) I decreti degli dei erano detti themistes.
(4) Phoibazo significa profetare. Quando Apollo si impadronì dell’Oracolo aggiunse al proprio il nome di Febo.
(5) Come anche Metis, amante di Zeus e madre di Athena.
(6) Evidentemente per gli antichi l’anima non si identificava tout court con la mente.
(7) In un rito molto popolare in Beozia, presso l’oracolo di Trofonio, il sacerdote beveva dapprima l’acqua di una fonte chiamata Lete e poi quella di un’altra detta Mnemosyne (da Pausania).
(8) Funzione che nella Bibbia Dio affida ad Adamo.
(9) Si veda il Canto I del Purgatorio (vv. 7-8): “Ma qui la morta poesì resurga, / o sante Muse, poi che vostro sono” e soprattutto il I del Paradiso (vv. 13-15): “O buono Appollo, a l'ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come dimandi a dar l'amato alloro”.
(10) “Esse insegnarono il canto bello ad Esiodo mentre stava pascolando le greggi sulla vetta dell’Elicona”.


Chiara Santagada