La vergogna


Per lo stato in cui si è ridotto questo Paese

confesso di provare oramai soltanto vergogna. 


Sono arrivato al punto che mi opprime persino 

la sensazione molesta che questo Paese abbia perduto 

la  capacità stessa di provare un sentimento di vergogna.  


Sono così colmo di amarezza e vergogna 

che basta a volte il contatto con la scena 

di un film di particolare bellezza, 

o con la folgorante verità psicologica di un racconto, 

o con l’irrompere improvviso della perfezione di una frase musicale, 

a provocarmi le lacrime di una crisi liberatoria.  


Provo un sentimento di profonda vergogna 

per lo spettacolo miserevole che questo Paese 

offre ogni giorno nelle cronache truculente dei giornali 

o negli spettacoli di demente euforia televisiva.


Provo dolore e vergogna per la volgarità di tanto esibito spreco, 

per l’imperversare di tanta fisiognomica bruttezza,

per l’abitudine a una menzogna 

oramai epidemica e diffusa come una rogna.


Provo dolore e vergogna perché l’unica forma di reazione e rifiuto 

sembra essere diventata una ripetitiva e sbracata satira, 

lo sberleffo caricaturale e l’insulto, 

senza neppure più l’effetto di un ironico e dissacrante indulto.  


Provo vergogna e sgomento 

per la condizione avvilente di impotenza che sperimento, 

spaesato e straniero a me stesso, 

prigioniero in un Paese che un tempo è stato per il mondo 

grazia e fulgore del Rinascimento. 


Provo vergogna e smarrimento perché non trovo più il modo, 

non vedo con chi, come fare a fermarci 

e da dove ripartire. 


Provo vergogna e sgomento

perché l’emergenza stoltamente denunciata,

il pericolo pubblico additato a zimbello e ludibrio, 

da destra e da sinistra, è un magistrato eroico e meschino, 

l’ex poliziotto sgrammaticato e pateticamente incaponito

a tenere alto il vessillo dei valori.


Io so soltanto che se non ci decidiamo a spegnere cellulari e televisori,  

a fare a meno delle automobili, a smettere con l’abuso 

di alcol e sigarette, carni e droghe, 

se non ci scrolliamo dalla pelle la pubblicità menzognera, 

se non riprendiamo a camminare e respirare liberi

da schemi culturali che ci vogliono sudditi e schiavi, 

a guardare dentro e intorno a noi con la saggezza degli avi;

 

se non trasformiamo questo Paese, simbolicamente e concretamente, 

in una collettiva purificatoria comunità terapeutica, 

capace di liberarsi dei troppi grassi e veleni, 

dei troppi turgori e tumori, dei troppi compromessi vili,

della competizione complice in troppi eccessi e deliri…


(A meno che…  A  meno che  questo Paese, 

piuttosto che fare i conti con la verità e la sua responsabilità dura 

-  a cominciare da quella sulle stragi politiche 

che lo hanno insanguinato negli ultimi cinquant’anni, 

o sull’intreccio mefitico di trasversali poteri occulti, 

politici e istituzionali, massonici e clericali,  

mafiosi e malavitosi e corporativi

che ancora pesantemente lo condizionano e inquinano– 

non abbia definitivamente deciso 

che piuttosto della fatica di una radicale e rigenerante espiazione

è preferibile continuare a uccidersi lentamente, 

e definitivamente lasciarsi morire.  

Ma allora per questo Paese spreco e lusso è la vergogna.

Quel che si merita è la rovina e la gogna).

 

Gian Carlo Marchesini